Nella Giornata Mondiale dell’Acqua (22 marzo) il Parco Archeologico di Pompei ricorda l’importanza dell’acqua, fonte primaria di vita per la città. Un pozzo profondo 42 metri, scavato vicino Porta Vesuvio, dimostra l’importanza che aveva l’acqua nell’Antica Pompei. Per procurarla si scendeva nel sottosuolo muniti di lucerne per avvertire (col loro spegnimento) il pericolo di emissioni mefitiche. Vitruvio sosteneva la necessità delle sorgenti d’acqua per la fondazione delle città. A Pompei l’acqua si lasciava scorrere per le strade per tenerle pulite. Essa serviva anche a pulire le ferite e nell’igiene personale. Le acque reflue non si smaltivano nelle fognature ma fluivano nei canali di scolo fuori le mura della città che non era dotata di una rete fognaria sufficiente, per questo motivo i liquidi residui si smaltivano nei pozzi assorbenti e solo le case dei ricchi erano dotate di servizi igienici. Solo dopo l’Imperatore Augusto, Pompei si dotò di un vero e proprio impianto idrico. Il Castellum Aquae a Pompei è l’edificio che aveva la funzione di accogliere l’acqua potabile proveniente dall’acquedotto del Serino e distribuirla alla rete idrica della città. Si trova nel punto più alto di Pompei (42 m), presso porta Vesuvio e sfruttava la pressione di caduta dell’acqua, rifornendo le fontane pubbliche presenti in città, agli incroci principali delle strade, le case e le terme. Nel primo secolo dopo Cristo a Pompei si frequentavano le terme pubbliche e private per il benessere fisico: per combattere le malattie, specialmente quelle della pelle. La sudatio o bagno di sudore per il mondo romano (e pompeiano) era ritenuto il bagno per eccellenza. Per l’igiene pubblica era consentita la frequentazione delle terme agli schiavi. Il bagno serviva ad espellere le sostanze tossiche dall’organismo, normalizzare la pressione arteriosa e riattivare il metabolismo beneficiando lo stato psichico. Valeva la convinzione che un corpo pulito difficilmente si ammala. A Pompei i termopoli erano siti agli incroci stradali. Le terme suburbane erano ad uso privato. Alla loro frequentazione si abbinava la pratica sportiva. Il nuoto si imparava fin da bambini. Per un romano (e pompeiano) era considerato un disonore non saper nuotare ecco perché le palestre erano dotate di grandi vasche per il nuoto (natatio). Esisteva il sapone che era molto costoso, non sgrassava ma ammorbidiva la pelle. L’igiene fisica si praticava anche a tavola dove zampilli d’acqua ai bordi dei triclini e canalette ai medesimi servivano per lavare le mani.
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