Un nuovo capitolo dell’inchiesta contro il clan Amato-Pagano è stato scritto oggi con l’arresto di 53 persone, di cui 43 in carcere e 10 ai domiciliari.
Il gruppo criminale, attivo tra Napoli e la sua provincia, è accusato di estorsioni, traffico di droga, e infiltrazioni in attività legali, come il settore delle ristrutturazioni, dove imponevano il pizzo anche agli imbianchini.
L’inchiesta, coordinata dal pm della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Napoli, Giuliano Caputo, ha rivelato un quadro inquietante di violenza e intimidazioni, ma anche di astuzia nell’utilizzo dei social media per attrarre nuovi affiliati e consolidare il potere del clan.
Il clan Amato-Pagano, protagonista di faide storiche con i clan Di Lauro, ha saputo adattarsi ai cambiamenti sociali e tecnologici, utilizzando i social media per diffondere messaggi di potere e ricchezza.
TikTok e Instagram sono diventati strumenti fondamentali per veicolare immagini di una vita lussuosa, fatta di orologi di marca, auto di alta gamma come Ferrari e Lamborghini, e feste con champagne Dom Perignon.
Queste immagini non solo servivano a glorificare la figura del clan, ma anche a irretire giovani vulnerabili, ai quali veniva promesso uno stile di vita agiato e pieno di successo.
La strategia di “addestramento alla durezza” messa in atto dal clan, secondo gli inquirenti, mirava a formare nuovi membri che, attraverso le estorsioni, avrebbero consolidato il controllo del territorio. Le estorsioni non si limitavano a grandi aziende, ma colpivano anche piccoli lavoratori come gli imbianchini, creando un clima di paura e sottomissione in ogni ambito della vita quotidiana.
A capo dell’organizzazione, dopo la detenzione di la figlia del clan Pagano, figura storica del clan, c’era un’altra donna e figlia di Amato, entrambi membri di spicco delle due famiglie scissioniste che hanno vinto le faide contro i Di Lauro.
La donna a capo del clan D’amato, a soli 34 anni, era la reggente del clan dal 2021, con il supporto di una rete di collaboratori e familiari. Questo “ruolo apicale” delle donne nel clan, come sottolineato dal procuratore Nicola Gratteri, segna una caratteristica distintiva delle dinamiche criminali del gruppo, che, pur essendo violente e impietose, hanno saputo gestire anche l’immagine e il consenso popolare.
Nel corso delle indagini, è emerso che le attività illecite del clan non si limitavano alle estorsioni e al narcotraffico. Il gruppo aveva anche una rete di controllo su case popolari e gestiva la distribuzione dei cosiddetti “pizzi” legati a contratti pubblici e superbonus fiscali. Un altro settore redditizio era la gestione delle aste giudiziarie, che permetteva agli affiliati di appropriarsi di beni immobili, tra cui appartamenti destinati a famiglie in difficoltà.
Il narcotraffico internazionale, con rotte ben consolidate in Spagna e Dubai, rappresentava il cuore pulsante delle operazioni economiche del clan, ma il controllo della comunità locale, attraverso intimidazioni e infiltrazioni nei settori economici legali, rimaneva una priorità assoluta. Inoltre, il clan manteneva i contatti con i detenuti tramite l’uso di telefoni cellulari, confermando la capacità di orchestrare operazioni anche da dietro le sbarre.
Le immagini di denaro e lusso, ostentate sui social, non erano solo una vetrina del potere, ma un mezzo per “normalizzare” il crimine e costruire una narrazione di successo che, purtroppo, ha attirato numerosi giovani pronti a entrare nel circuito delle estorsioni e del crimine organizzato. La camorra, infatti, è stata la prima in Italia a comprendere l’importanza dei social media come strumento di propaganda, per “mostrare di essere vincenti” e per consolidare la sua posizione nel panorama criminale.
Con questa operazione, la Dia di Napoli ha inferto un duro colpo al clan Amato-Pagano, ma resta ancora molto da fare per arginare la pervasività di un’organizzazione che, pur essendo ormai radicata nel crimine tradizionale, ha saputo sfruttare le nuove tecnologie per consolidare il suo potere.